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Ancora GImenez, all'ennesima intervista dopo l'arrivo. Questa volta a MTV:"L'Argentina è un paese che amo dove vive tutta la mia famiglia, è dove ho trascorso i primi quattro anni della mia vita. Poi mio padre, che era un calciatore, per lavoro, ha dovuto trasferirsi in Messico e così io da bambino sono andato con lui in Messico. E lì ho trascorso tutta la mia infanzia. Senza dubbio l'Argentina è un paese dove mi sento a casa proprio come il Messico. Se dovesse scegliere, ovviamente, mi sento più messicano semplicemente perchè ho vissuto tutta la mia vita in Messico, ma anche l'Argentina la porto nel cuore".
"Sono sempre stato un grande appassionato di calcio fin da bambino e ho sempre amato guardarlo. Sono cresciuto in un'epoca in cui la Serie A era il campionato migliore, e questo ha fatto sì che seguissi la Serie A".
"Il MIlan? Se è vero che è sempre stato il mio sogno? Tutto è andato esattamente come volevo. Fin da bambino ho sempre seguito il Milan, è una delle squadre di cui era innamorato quando ero piccolo. Vedevo giocare Kakà, Beckham, Ronaldinho, Ronaldo, Pirlo, Gattuso... Praticamente tutto quel gruppo di giocatori che ha incantato il mondo. E fin da bambino è sempre stato il mio sogno. Quando mi hanno chiamato mi sono detto: wow ho questa opportunità e non voglio lasciarmela sfuggire".
"La foto con la maglia di Kakà? E' una delle tante foto che ho da bambino con la maglia del Milan. Ho incontrato anche Kakà. che è un modello per me, non solo per il calcio, ma anche perchè condividiamo la stessa fede. E mi ha sempre motivato, mi ha parlato di fede e mi ha sempre ispirato. Da quel momento ho capito che il Milan era la destinazione giusta per me".
"Il gol? Ha un significato che va oltre il calcio. Forse qualcuno potrebbe dire che insisto tropo sulla fede, ma ringraziare Dio in ginocchio davanti a tutto lo stadio e davanti a milioni di telecamere è il modo migliore per dargli gloria e anche per essere un esempio di come con Dio tutto è possibile. Per un attaccante, poi, segnare è tutto. Gli attaccanti vivono per il gol e l'unico modo per restituire quella felicità ai tifosi, per ricambiare la gioia che ti danno, è segnare tanti gol e farli esultare molte volte".
"Io primo messicano nel MIlan? E' un onore. Solo il fatto di essere qui al Milan, a prescindere dalla nazionalità, è un onore e voglio rappresentare al meglio questi colori".
"Il mio bisnonno è nato qui in Italia, è italiano e grazie a lui ho potuto ottenere il passaporto italiano. Anche per questo mi vergogno un po' a non sapere l'italiano, ma prenderò lezioni e imparerò velocemente. Per ora lo capisco un po' perchè è simile allo spagnolo, ora prenderò lezioni per parlarlo".
"La fede? Per me è tutto. In un momento in cui non trovato la mia strada, ho incontrato Gesù Cristo e lui mi h mostrato la mia via. Questo è molto importante per me. Credo che con Dio tutto sia possibile. Ho iniziato questo cammino quando ho avuto una trombosi al braccio, e i medici mi dissero che dovevo smettere di giocare a calcio, è stato in quel momento che ho conosciuto Cristo e lui fece il miracolo, così sono tornato a giocare".
"Il numero 7? Il 29 è il numero con cui ho esordito e poi lo avevo anche al Feyenoord. Il 29 è speciale, ma anche l'11 che indosso in nazionale. C'era libero il 7, ho provato a trovargli un significato e ce n'è uno molto importante: è il numero perfetto nella Bibbia".
"La pressione? A questo livello si gioca sotto molta pressione per la passione dei tifosi. A secondo di come va la squadra, i tifosi passano una buona o cattiva settimana e da lì nasce la pressione. Credo che la pressione si gestisca dando tutto in campo. Uscire dal campo e dire di aver dato il massimo. Nel calcio di vince e si perde, ma se lasci il campo sapendo di aver dato tutto puoi stare tranquillo e gestire la pressione".
"Ho avuto la possibilità di giocare contro la Lazio e la Roma e l'atmosfera è molto intensa, ma il derby Milan-Inter è pazzesco, è incredibile. Il modo in cui vivono il calcio e tifano per tutta la partita è incredibile".
Il Feyennord i Champions? Ci sono state tante emozioni dopo il sorteggio. Volevo che ci fosse Milan-Feyenoord perchè, se fossi rimasto in Olanda, avrei comunque affrontato la squadra in cui sognavo di giocare. Ora che sono qui sarà bellissimo tornare a Rotterdam, sono molto legato al Feyenoord e potrò dire addio alla squadra con cui ho vissuto momenti bellissimi. Sarà una notte speciale".
"Il soprannome Bebote? Di quel bambino è rimasta la passione e la gioia con cui entro in campo. Da piccoli si gioca senza pressione e con tanta passione, quando si arriva in prima squadra invece si inizia a pensare cosa diranno i tifosi. E questo a volte ti impedisce di giocare liberamente. Io cerco di giocare come un bambino, senza pressione, con tanta passione, liberamente e divertendomi. Questa cosa non la perderò mai. Il soprannome? Viene dalla mia famiglia. I miei genitori, tutta la mia famiglia mi chiamava 'Bebote' da piccolo perchè ero grande per la mia età. Ero più grande dei miei compagni, per questo mi chiamavano 'Bebote'. Alla fine un amico di mio padre, che lavorava in tv, Tito Villa, sapeva che mi chiamavano così e una volta mentre commentava una partita al mio gol ha detto che aveva segnato il Bebote. E da quel momento mi chiamano tutti così".
"Sono sempre stato un grande appassionato di calcio fin da bambino e ho sempre amato guardarlo. Sono cresciuto in un'epoca in cui la Serie A era il campionato migliore, e questo ha fatto sì che seguissi la Serie A".
"Il MIlan? Se è vero che è sempre stato il mio sogno? Tutto è andato esattamente come volevo. Fin da bambino ho sempre seguito il Milan, è una delle squadre di cui era innamorato quando ero piccolo. Vedevo giocare Kakà, Beckham, Ronaldinho, Ronaldo, Pirlo, Gattuso... Praticamente tutto quel gruppo di giocatori che ha incantato il mondo. E fin da bambino è sempre stato il mio sogno. Quando mi hanno chiamato mi sono detto: wow ho questa opportunità e non voglio lasciarmela sfuggire".
"La foto con la maglia di Kakà? E' una delle tante foto che ho da bambino con la maglia del Milan. Ho incontrato anche Kakà. che è un modello per me, non solo per il calcio, ma anche perchè condividiamo la stessa fede. E mi ha sempre motivato, mi ha parlato di fede e mi ha sempre ispirato. Da quel momento ho capito che il Milan era la destinazione giusta per me".
"Il gol? Ha un significato che va oltre il calcio. Forse qualcuno potrebbe dire che insisto tropo sulla fede, ma ringraziare Dio in ginocchio davanti a tutto lo stadio e davanti a milioni di telecamere è il modo migliore per dargli gloria e anche per essere un esempio di come con Dio tutto è possibile. Per un attaccante, poi, segnare è tutto. Gli attaccanti vivono per il gol e l'unico modo per restituire quella felicità ai tifosi, per ricambiare la gioia che ti danno, è segnare tanti gol e farli esultare molte volte".
"Io primo messicano nel MIlan? E' un onore. Solo il fatto di essere qui al Milan, a prescindere dalla nazionalità, è un onore e voglio rappresentare al meglio questi colori".
"Il mio bisnonno è nato qui in Italia, è italiano e grazie a lui ho potuto ottenere il passaporto italiano. Anche per questo mi vergogno un po' a non sapere l'italiano, ma prenderò lezioni e imparerò velocemente. Per ora lo capisco un po' perchè è simile allo spagnolo, ora prenderò lezioni per parlarlo".
"La fede? Per me è tutto. In un momento in cui non trovato la mia strada, ho incontrato Gesù Cristo e lui mi h mostrato la mia via. Questo è molto importante per me. Credo che con Dio tutto sia possibile. Ho iniziato questo cammino quando ho avuto una trombosi al braccio, e i medici mi dissero che dovevo smettere di giocare a calcio, è stato in quel momento che ho conosciuto Cristo e lui fece il miracolo, così sono tornato a giocare".
"Il numero 7? Il 29 è il numero con cui ho esordito e poi lo avevo anche al Feyenoord. Il 29 è speciale, ma anche l'11 che indosso in nazionale. C'era libero il 7, ho provato a trovargli un significato e ce n'è uno molto importante: è il numero perfetto nella Bibbia".
"La pressione? A questo livello si gioca sotto molta pressione per la passione dei tifosi. A secondo di come va la squadra, i tifosi passano una buona o cattiva settimana e da lì nasce la pressione. Credo che la pressione si gestisca dando tutto in campo. Uscire dal campo e dire di aver dato il massimo. Nel calcio di vince e si perde, ma se lasci il campo sapendo di aver dato tutto puoi stare tranquillo e gestire la pressione".
"Ho avuto la possibilità di giocare contro la Lazio e la Roma e l'atmosfera è molto intensa, ma il derby Milan-Inter è pazzesco, è incredibile. Il modo in cui vivono il calcio e tifano per tutta la partita è incredibile".
Il Feyennord i Champions? Ci sono state tante emozioni dopo il sorteggio. Volevo che ci fosse Milan-Feyenoord perchè, se fossi rimasto in Olanda, avrei comunque affrontato la squadra in cui sognavo di giocare. Ora che sono qui sarà bellissimo tornare a Rotterdam, sono molto legato al Feyenoord e potrò dire addio alla squadra con cui ho vissuto momenti bellissimi. Sarà una notte speciale".
"Il soprannome Bebote? Di quel bambino è rimasta la passione e la gioia con cui entro in campo. Da piccoli si gioca senza pressione e con tanta passione, quando si arriva in prima squadra invece si inizia a pensare cosa diranno i tifosi. E questo a volte ti impedisce di giocare liberamente. Io cerco di giocare come un bambino, senza pressione, con tanta passione, liberamente e divertendomi. Questa cosa non la perderò mai. Il soprannome? Viene dalla mia famiglia. I miei genitori, tutta la mia famiglia mi chiamava 'Bebote' da piccolo perchè ero grande per la mia età. Ero più grande dei miei compagni, per questo mi chiamavano 'Bebote'. Alla fine un amico di mio padre, che lavorava in tv, Tito Villa, sapeva che mi chiamavano così e una volta mentre commentava una partita al mio gol ha detto che aveva segnato il Bebote. E da quel momento mi chiamano tutti così".