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Lo chef super mega radical chic Giorgio Locatelli al CorSera:
Giorgio Locatelli, come si sente senza la sua Locanda, il ristorante stellato di Londra che ha chiuso il 31 dicembre 2024 dopo 23 anni?
«Benissimo: è come se mi avessero tolto un peso dalla schiena».
Era così stanco?
«A 62 anni, sì. Eravamo aperti tutti i giorni con uno staff di 76-84 persone da gestire: troppa pressione. Il sabato dopo l’addio io e mia moglie Plaxy ci siamo resi conto che quello era il nostro primo weekend libero dal 2002».
Ma ora ricominciate...
«Alla National Gallery. Il 10 maggio apriamo il ristorante Locatelli’s, il Bar Giorgio e un club. Tagliatelle al ragù e maritozzi, abbiamo già 400 prenotazioni in attesa. Ma sarà diverso: io dovrò motivare il personale, non pagarlo. A quello penseranno i partner. Finalmente posso dedicarmi solo alla cucina: non sono un bravo businessman. Anzi, sono terribile con i soldi…».
Ne ha persi?
«Ai tempi del ristorante Zafferano, sempre a Londra, venni truffato: le mie quote vennero vendute e rimasi con niente in mano, dopo sette anni in cui avevo dato tutto. Un’esperienza che avrebbe potuto spaccarmi, l’ho affrontata con la terapia».
È la cosa più brutta che le è successa?
«No. La più brutta è la morte di mio fratello Roberto, nove anni fa. Un cancro alla gola, se ne è andato in pochi mesi a 55 anni. Mio papà Ferruccio non ha retto, è mancato poco dopo. Per me è stato uno choc: credo che tante mie decisioni siano nate da lì».
Per esempio?
«Chiudere la Locanda: mi sono detto che la vita è breve, e che dovevo fare qualcosa che mi rendesse contento».
Che figlio è stato?
«Scapestrato: a 14 anni ho smesso di parlare con i miei. Andavo alla scuola alberghiera, lavoravo nel ristorante degli zii (La Cinzianella a Corgeno, Varese, ndr), uscivo. Mio fratello era il ragazzo perfetto: ingegnere, un posto all’Enel come papà. Ho sempre saputo di essere lo sfavorito».
Questo la faceva soffrire?
«No, ero un ragazzo troppo difficile. Mia mamma Giuseppina ogni tanto mi diceva “a te ti hanno scambiato in culla”. Adesso ha 90 anni, la chiamo ogni sera alle 19».
I suoi le hanno mai detto di essere fieri di lei?
«Mio papà, una volta, quando è venuto a Dubai. Non credeva sarei riuscito a fare una cosa del genere».
Il ristorante Ronda, all’hotel Atlantis. Poi chiuso.
«Non abbiamo rinnovato il contratto dopo 15 anni: un nostro dipendente è finito in carcere per aver fumato una canna. Per le leggi locali ci sarebbe dovuto rimanere 4 anni, lo abbiamo tirato fuori tramite conoscenze. Non è un Paese che ci piace».
Il 6 maggio Re Carlo III inaugurerà l’ala Sainsbury della National Gallery, dove si trovano i suoi locali. Lui è da sempre un suo cliente.
«Quando era principe veniva alla Locanda con Camilla. Da sovrano no. Però ogni anno mando un tartufo a Palazzo per Natale: bianco, di Alba o di San Pietro al Pettine, in Umbria. Una volta non mi ha ringraziato, l’anno dopo mi ha fatto arrivare un tartufo nero trovato da lui nella tenuta di Sandrigham. Molto buono!».
Eravate insieme alla cena al Quirinale con Mattarella.
«Sì. Il presidente della Repubblica mi ha chiamato per nome e ha detto che gli piace MasterChef, che onore! Unico neo di quella sera: ho fatto fatica a stringere la mano a qualche ministro italiano. Mi ha proprio dato fastidio. Vengo da una grande tradizione antifascista: mio zio paterno, Nino, era partigiano. Venne fucilato a vent’anni dai nazisti durante una missione in Piemonte. Papà al tempo era un bimbo, ma lui e zia Luisa ce ne hanno sempre parlato».
Cosa pensa del governo Meloni?
«Ha vinto le elezioni e ha un buon sostegno. La democrazia va accettata, quando si vince e quando si perde. La premier è rispettata a livello internazionale. Vediamo».
E del governo inglese?
«I laburisti stanno cercando di mettere una pezza ai disastri di Boris Johnson, però ormai non possono indire un referendum contro la Brexit. Quell’indipendenza promessa non c’è, anzi, abbiamo un sacco di problemi: sarebbe stato meglio restare con l’Ue».
Ha la cittadinanza italiana e britannica. Si sente più inglese o più italiano?
«Tutti e due. Io mi sento un figlio dell’Europa! Sono anche andato a buttare giù il muro di Berlino: gli ho dato due mazzate e me ne sono portato a casa un pezzo. Per anni, ho regalato dei frammenti agli amici».
Ci racconti meglio.
«Nel novembre 1989 lavoravo a Parigi. Un mio collega chef disse: andiamo a Berlino. Ci trovammo tra la folla a festeggiare. Esagerammo un po’, la mattina dopo persi il volo. Arrivai in ritardo al ristorante, mi beccai quattro settimane senza riposi. Ricordo ancora i cestini di Berlino Ovest pieni di bucce di banana: a Berlino Est non arrivavano, i ragazzi le compravano in massa per assaggiarle».
Rifarebbe tutto?
«Rifarei il cuoco, l’unico mestiere che conosco. Ma mi eviterei un po’ di abusi: a Londra e Parigi sono stato umiliato in tutti i modi. Invece di resistere per dimostrare qualcosa, me ne andrei. Oggi quel tipo di educazione in cucina è ridicola. A volte succede ancora che i ragazzi in brigata, under 25 e col testosterone a duecentomila, si bullizzino tra di loro e tu non te ne accorga. Ma non è una scusa, bisogna intervenire e governare dando l’esempio: no umiliazioni».
Che cosa le fa più paura?
«Oggi, i social: non si capisce da dove arrivano le notizie, le persone possono essere manipolate. Mia figlia ha 27 anni, l’altro giorno mi ha chiesto se mi piacerebbe diventare nonno: le ho detto di sì. Ma in realtà mi chiedo se abbia senso avere bambini: che mondo lasciamo loro?».
Sua figlia Margherita ha 600 allergie.
«A tre anni stava per morire di choc anafilattico. Abbiamo scoperto che era allergica anche al sugo al pomodoro Pachino, la mia specialità: pensavo di nutrirla, la stavo avvelenando. Mi sono messo al ristorante a testare vari piatti, abbiamo creato una linea anallergica che porteremo anche alla National Gallery».
È sposato con Plaxy Exton da 30 anni. Come si fa?
«Non faccio alcuno sforzo per stare con lei, stiamo bene. E ci lasciamo ogni tanto un po’ di spazio, per esempio al MotoGp non la porto. Ma quando non c’è mi manca. Sono monogamo, non capisco chi ha 2-3 ragazze. L’unica volta che mi sono trovato con una girlfriend e un’altra che mi piaceva mi sono sentito malissimo».
MasterChef: sta girando la sua ottava stagione.
«Continuo finché mi diverto. Antonino (Cannavacciuolo, ndr) è così come lo vedete, io e Bruno (Barbieri, ndr) no. Io nella vita non sono severo».
Tratti degli altri due giudici che non tollera.
«La mattina Bruno è come Liz Taylor, di pessimo umore. Antonino ogni tanto va in fissa con le sue auto».
Di cosa è soddisfatto?
«Di aver avuto ristoranti di successo, di avere una voce in capitolo sulla cucina italiana nel mondo. E del fatto che ogni tanto qualcuno mi paghi cifre sconsiderate: una coppia mi ha dato 25 mila sterline (30 mila euro, ndr) per preparare due piatti di tagliolini al tartufo bianco a Doha».
Non è mai andato alla cerimonia della Michelin.
«Sono andato alla prima. Perché mischiarmi con quegli invasati? Ho avuto la stella per 23 anni, non mi mancherà: non cucinavo per quello, ma per il ristorante pieno».
Clienti vip, un aneddoto?
«Servii ad Arnold Schwarzenegger delle friselle con scamorza e pesto di pomodori: ne unì due e le mangiò come un burger».
Pensa mai alla morte?
«Sì, con serenità: sono agnostico. Temo la malattia».
Ha un sogno nel cassetto?
«Un viaggio di sei mesi con Plaxy. E un ristorante in Puglia, dove abbiamo casa. Ma adesso c’è ancora Londra».
Giorgio Locatelli, come si sente senza la sua Locanda, il ristorante stellato di Londra che ha chiuso il 31 dicembre 2024 dopo 23 anni?
«Benissimo: è come se mi avessero tolto un peso dalla schiena».
Era così stanco?
«A 62 anni, sì. Eravamo aperti tutti i giorni con uno staff di 76-84 persone da gestire: troppa pressione. Il sabato dopo l’addio io e mia moglie Plaxy ci siamo resi conto che quello era il nostro primo weekend libero dal 2002».
Ma ora ricominciate...
«Alla National Gallery. Il 10 maggio apriamo il ristorante Locatelli’s, il Bar Giorgio e un club. Tagliatelle al ragù e maritozzi, abbiamo già 400 prenotazioni in attesa. Ma sarà diverso: io dovrò motivare il personale, non pagarlo. A quello penseranno i partner. Finalmente posso dedicarmi solo alla cucina: non sono un bravo businessman. Anzi, sono terribile con i soldi…».
Ne ha persi?
«Ai tempi del ristorante Zafferano, sempre a Londra, venni truffato: le mie quote vennero vendute e rimasi con niente in mano, dopo sette anni in cui avevo dato tutto. Un’esperienza che avrebbe potuto spaccarmi, l’ho affrontata con la terapia».
È la cosa più brutta che le è successa?
«No. La più brutta è la morte di mio fratello Roberto, nove anni fa. Un cancro alla gola, se ne è andato in pochi mesi a 55 anni. Mio papà Ferruccio non ha retto, è mancato poco dopo. Per me è stato uno choc: credo che tante mie decisioni siano nate da lì».
Per esempio?
«Chiudere la Locanda: mi sono detto che la vita è breve, e che dovevo fare qualcosa che mi rendesse contento».
Che figlio è stato?
«Scapestrato: a 14 anni ho smesso di parlare con i miei. Andavo alla scuola alberghiera, lavoravo nel ristorante degli zii (La Cinzianella a Corgeno, Varese, ndr), uscivo. Mio fratello era il ragazzo perfetto: ingegnere, un posto all’Enel come papà. Ho sempre saputo di essere lo sfavorito».
Questo la faceva soffrire?
«No, ero un ragazzo troppo difficile. Mia mamma Giuseppina ogni tanto mi diceva “a te ti hanno scambiato in culla”. Adesso ha 90 anni, la chiamo ogni sera alle 19».
I suoi le hanno mai detto di essere fieri di lei?
«Mio papà, una volta, quando è venuto a Dubai. Non credeva sarei riuscito a fare una cosa del genere».
Il ristorante Ronda, all’hotel Atlantis. Poi chiuso.
«Non abbiamo rinnovato il contratto dopo 15 anni: un nostro dipendente è finito in carcere per aver fumato una canna. Per le leggi locali ci sarebbe dovuto rimanere 4 anni, lo abbiamo tirato fuori tramite conoscenze. Non è un Paese che ci piace».
Il 6 maggio Re Carlo III inaugurerà l’ala Sainsbury della National Gallery, dove si trovano i suoi locali. Lui è da sempre un suo cliente.
«Quando era principe veniva alla Locanda con Camilla. Da sovrano no. Però ogni anno mando un tartufo a Palazzo per Natale: bianco, di Alba o di San Pietro al Pettine, in Umbria. Una volta non mi ha ringraziato, l’anno dopo mi ha fatto arrivare un tartufo nero trovato da lui nella tenuta di Sandrigham. Molto buono!».
Eravate insieme alla cena al Quirinale con Mattarella.
«Sì. Il presidente della Repubblica mi ha chiamato per nome e ha detto che gli piace MasterChef, che onore! Unico neo di quella sera: ho fatto fatica a stringere la mano a qualche ministro italiano. Mi ha proprio dato fastidio. Vengo da una grande tradizione antifascista: mio zio paterno, Nino, era partigiano. Venne fucilato a vent’anni dai nazisti durante una missione in Piemonte. Papà al tempo era un bimbo, ma lui e zia Luisa ce ne hanno sempre parlato».
Cosa pensa del governo Meloni?
«Ha vinto le elezioni e ha un buon sostegno. La democrazia va accettata, quando si vince e quando si perde. La premier è rispettata a livello internazionale. Vediamo».
E del governo inglese?
«I laburisti stanno cercando di mettere una pezza ai disastri di Boris Johnson, però ormai non possono indire un referendum contro la Brexit. Quell’indipendenza promessa non c’è, anzi, abbiamo un sacco di problemi: sarebbe stato meglio restare con l’Ue».
Ha la cittadinanza italiana e britannica. Si sente più inglese o più italiano?
«Tutti e due. Io mi sento un figlio dell’Europa! Sono anche andato a buttare giù il muro di Berlino: gli ho dato due mazzate e me ne sono portato a casa un pezzo. Per anni, ho regalato dei frammenti agli amici».
Ci racconti meglio.
«Nel novembre 1989 lavoravo a Parigi. Un mio collega chef disse: andiamo a Berlino. Ci trovammo tra la folla a festeggiare. Esagerammo un po’, la mattina dopo persi il volo. Arrivai in ritardo al ristorante, mi beccai quattro settimane senza riposi. Ricordo ancora i cestini di Berlino Ovest pieni di bucce di banana: a Berlino Est non arrivavano, i ragazzi le compravano in massa per assaggiarle».
Rifarebbe tutto?
«Rifarei il cuoco, l’unico mestiere che conosco. Ma mi eviterei un po’ di abusi: a Londra e Parigi sono stato umiliato in tutti i modi. Invece di resistere per dimostrare qualcosa, me ne andrei. Oggi quel tipo di educazione in cucina è ridicola. A volte succede ancora che i ragazzi in brigata, under 25 e col testosterone a duecentomila, si bullizzino tra di loro e tu non te ne accorga. Ma non è una scusa, bisogna intervenire e governare dando l’esempio: no umiliazioni».
Che cosa le fa più paura?
«Oggi, i social: non si capisce da dove arrivano le notizie, le persone possono essere manipolate. Mia figlia ha 27 anni, l’altro giorno mi ha chiesto se mi piacerebbe diventare nonno: le ho detto di sì. Ma in realtà mi chiedo se abbia senso avere bambini: che mondo lasciamo loro?».
Sua figlia Margherita ha 600 allergie.
«A tre anni stava per morire di choc anafilattico. Abbiamo scoperto che era allergica anche al sugo al pomodoro Pachino, la mia specialità: pensavo di nutrirla, la stavo avvelenando. Mi sono messo al ristorante a testare vari piatti, abbiamo creato una linea anallergica che porteremo anche alla National Gallery».
È sposato con Plaxy Exton da 30 anni. Come si fa?
«Non faccio alcuno sforzo per stare con lei, stiamo bene. E ci lasciamo ogni tanto un po’ di spazio, per esempio al MotoGp non la porto. Ma quando non c’è mi manca. Sono monogamo, non capisco chi ha 2-3 ragazze. L’unica volta che mi sono trovato con una girlfriend e un’altra che mi piaceva mi sono sentito malissimo».
MasterChef: sta girando la sua ottava stagione.
«Continuo finché mi diverto. Antonino (Cannavacciuolo, ndr) è così come lo vedete, io e Bruno (Barbieri, ndr) no. Io nella vita non sono severo».
Tratti degli altri due giudici che non tollera.
«La mattina Bruno è come Liz Taylor, di pessimo umore. Antonino ogni tanto va in fissa con le sue auto».
Di cosa è soddisfatto?
«Di aver avuto ristoranti di successo, di avere una voce in capitolo sulla cucina italiana nel mondo. E del fatto che ogni tanto qualcuno mi paghi cifre sconsiderate: una coppia mi ha dato 25 mila sterline (30 mila euro, ndr) per preparare due piatti di tagliolini al tartufo bianco a Doha».
Non è mai andato alla cerimonia della Michelin.
«Sono andato alla prima. Perché mischiarmi con quegli invasati? Ho avuto la stella per 23 anni, non mi mancherà: non cucinavo per quello, ma per il ristorante pieno».
Clienti vip, un aneddoto?
«Servii ad Arnold Schwarzenegger delle friselle con scamorza e pesto di pomodori: ne unì due e le mangiò come un burger».
Pensa mai alla morte?
«Sì, con serenità: sono agnostico. Temo la malattia».
Ha un sogno nel cassetto?
«Un viaggio di sei mesi con Plaxy. E un ristorante in Puglia, dove abbiamo casa. Ma adesso c’è ancora Londra».