Mancini, a lungo a capo dei Servizi italiani, a Il Riformista:
"L’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi aveva un volo Teheran-Malpensa con scalo in Turchia. Quando lui arriva alle 18 del lunedì 16 dicembre, è già atteso dalla polizia italiana. Che lo arresta seduta stante
Sapevano che stava arrivando, gli americani avevano chiesto il mandato di arresto con tre capi di imputazione precisi: associazione per delinquere, fornitura e supporto di materiale per organizzazioni terroristiche. Capi di imputazioni emessi dal Massachusetts che prevedono la pena dell’ergastolo, da scontare negli Stati Uniti. Nel braccio della morte. E questo arresto è avvenuto a seguito di quello di Mohammed Sadeghi. Che viene arrestato negli Usa per gli stessi capi di imputazione
Io ritengo che queste persone facciano parte della struttura capillare del procurement che l’Iran ha nel mondo. Lavorano per i pasdaràn, soprattutto per procurare componentistica per la costruzione di droni e di elicotteri. Fanno parte dei pasdaràn: delle Guardie della rivoluzione islamica iraniana. Un corpo dell’intelligence militare il cui capo risponde esclusivamente a Khamenei
Si doveva poter accertare, in Italia e in Svizzera, tutti i contatti che aveva quest’uomo. E puntare a smantellare la rete, più che a fermare soltanto lui. Lo si poteva arrestare due, tre, quattro ore dopo. Un giorno dopo. Magari si trovava il modo di ritardarne l’arrivo al confine svizzero
Per diversi motivi, ma una su tutte: la nostra connazionale Cecilia Sala aveva già svolto attività a favore delle donne iraniane, si era già esposta. Era attenzionata dai pasdaràn, lo dico per esperienza: era certamente già un target. Quando ha chiesto il visto di ingresso come giornalista, la richiesta di visto è andata direttamente alla sezione dei pasdaràn che controllano chi lavora contro il governo iraniano. In quella sede nascono tutti gli arresti-sequestri del regime. E l’hanno sicuramente messa nel mirino. Queste cose però non devo dirle io oggi al Riformista, dovevano dirle per tempo gli organismi preposti alla sicurezza dei nostri connazionali
Dico che è saltata la possibilità di informare preventivamente la nostra concittadina del rischio reale che stava correndo. L’intelligence italiana aveva notizie che questa donna era diventata un target dei pasdaràn, vista la natura del suo lavoro? Abedini Najafabadi viene arrestato il 16, lei il 19. In quei due giorni – in cui lei è diventata un target non più solo potenziale, ma probabile – nessuno è riuscito ad evacuarla, a indirizzarla verso un aeroporto sicuro? Bisognava farle raggiungere Baghdad o la Turchia, anche con un volo privato. Si poteva fare in due ore. Che non sia stato fatto in due giorni è gravissimo. È mancata la prevenzione. E se gli americani – come pare – non hanno avvisato i servizi italiani, ma solo la polizia, è un’altra cosa molto rilevante. Si fidano ancora di noi?
Non mi risulta che la CIA abbia avvisato i Servizi italiani. So che ad attendere l’iraniano c’era la polizia di Stato. Non c’erano agenti dei servizi. Il Tribunale di Boston ha scritto alla Procura di Milano e da lì è partito l’ordine che è stato eseguito dalla polizia di Stato. Questo sappiamo, mi limito a quel che ho letto sui giornali
Dopo il caso Artem Uss… Quel caso ha mostrato agli USA la debolezza del sistema di sicurezza italiano.
E poi perché è venuta fuori così, subito, la notizia dell’arresto dell’iraniano alla Malpensa? Doveva essere fatta un’operazione diversa, seguirlo quando usciva dall’aeroporto e vedere, ad esempio, chi incontrava
Cecilia Sala non ha fatto nulla, se non il suo lavoro di bravissima giornalista. Ma sa cosa sta succedendo ora a Teheran? Stanno costruendo artatamente, adesso, le prove d’accusa contro di lei. E le prove d’accusa le costruiranno in base a quello che succederà con la decisione della Corte d’Appello di Milano sulla richiesta di estradizione americana. Ma la scelta di estradare o di lasciare libero l’iraniano è una decisione politica che spetta al ministro Nordio"