Willy Wonka
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Per i 50 anni di Paolo Maldini, Sky ha mandato in onda oggi un'inedita intervista di Federico Buffa a Maldini. Di seguito un estratto di quanto dichiarato dall'ex capitano del Milan:
"Io sono milanese al 100%, mi identifico nei valori dei lombardi. Ho vinto due ambrogini d'oro. Trieste? L'ho conosciuta poco, non ci siamo quasi mai andati. La parte triestina come famiglia è sempre stata distante per me. Nereo Rocco non mi ha mai visto giocare, al maestro Rocco che non ho mai conosciuto direi grazie perchè ha formato mio padre, uno sportivo vero, un uomo sensibile. Nelle idee della mia famiglia non penso ci fosse l'idea di avere 6 figli, loro volevano il maschio ed è arrivato solamente al quarto tentativo con me.
Da piccolo avevo una predilezione per il Torino perchè ci aveva giocato mio padre, in casa c'era una foto mia ad un torneo quando ero piccolo con la maglia granata. Mio padre non mi vedeva calciatore, fu mia madre ad insistere. Mio padre pensava che il solo talento non aiutasse, serviva tanto lavoro e molti sacrifici. Nelle giovanili dai 10 ai 14 anni non ero certamente la stella, ho visto molti talenti sprecati. All'inizio mi proposero di fare il portiere, ci pensai, ma capii poco dopo che non faceva per me.
All'esordio il Barone mi chiese dove volessi giocare, gli risposi dove voleva lui. Non avevo le scarpe adatte per giocare con il ghiaccio, me le feci prestare e mi facevano male i piedi quando mi sedetti in panchina. Quando entrai in campo non sentii più nulla. Quel giorno lì pensai posso davvero giocare in Serie A, ho giocato bene mi son piaciuto, posso giocare davvero con i campioni. Nell'arco della mia carriera ho sempre cercato la partita perfetta, ma non sono mai riuscito a farla, soprattutto da terzino. Il giorno dopo l'esordio ho chiesto a mio padre di non andare al Liceo Volta perchè c'era tanta pressione attorno a me, mio padre me lo concesse. Mi fecero un'intervista alla Gazzetta dove fecero supporre una mia omosessualità e non la presi molto bene, dovetti giustificarmi un po' con tutti, anche con i miei compagni.
Devo tanto a Franco Baresi e Mauro Tassotti, ma anche ad Agostino di Bartolomei. Mi aiutarono tantissimo. Oltre a loro anche il Barone, ti rendeva tranquillo e ti faceva giocare divertendoti. Io ero un ragazzo molto ansioso ed insicuro, soprattutto agli inizi, poi con il tempo sono migliorato.
Io ho sempre voluto separare il Maldini uomo dal Maldini calciatore, 90' a settimana sono il giocatore del Milan, ma il resto del tempo io sono Paolo Maldini. Questa è una scelta, lo sportivo deve accettare sia la vittoria che la sconfitta, l'importante è dare tutto. Le responsabilità dei miei errori sono mie, non ho mai cercato scuse. Fa parte del gioco, e ti rende umano. Io penso di aver preso anche meno cartellini di quelli che meritassi.
Sono nato a Milano, mio padre giocava nel Milan, per me il Milan era il massimo. Io ero ambizioso, il Milan era ambizioso, ci siamo trovati ed è andata alla grande. Club stranieri? Arrivavano nei momenti bassi del Milan, Chelsea, United, ma io ho sempre detto no. Non si va mai via quando le cose vanno male.
Io son sempre stato di piede destro, col sinistro me la cavavo. Il posto libero in prima squadra era terzino sinistro e non potevo farvi sfuggire l'occasione, ho colto l'opportunità e mi sono migliorato col tempo. Ho sempre avuto il controllo totale del mio corpo, nei contrasti mantenevo il mio corpo in un certo modo per tenermi in equilibrio, è una cosa naturale. L'avversario più difficile? Shevchenko in allenamento, con le sue caratteristiche era difficilissimo per me affrontarlo, grazie a lui sono migliorato molto come centrale.
A Coverciano ti insegnano se sei terzino sinistro a girarti in un certo modo su un cambio campo, se non sei Paolo Maldini. Sono entrato nel lessico di Coverciano. Questo per dire che non sono tutti uguali.
Tassotti è stato mio compagno di camera per 10 anni, è un mio grande amico e una persona stupenda. Quando non avevo la patente mi accompagnava lui su una Volvo Station bianca.
Quando arriva Sacchi cambia tutto, cambiano gli obiettivi, cambiano i compagni. Io comunque penso che la fortuna del Grande Milan sia stata la difesa italiana a 4 lanciata da Liedholm, il grande motore della squadra. Poi c'è stata la grande campagna acquisti, Massaro, Donadoni, gli olandesi. Van Basten la prima partita fece una grande prestazione, giocatore di classe unica. Ha dovuto smettere a 28 anni, veramente un peccato, purtroppo i problemi fisici li hanno condizionati tutti. La prima stagione di Gullit? Come Lebron James oggi. Una cosa spaventosa, spingeva tutti a dare il meglio di sè. Sacchi ha dato il via al grande Milan, fisicità, esperienza e idee di gioco. Il sistema collettivo di Sacchi doveva respirare tutto allo stesso modo, inizialmente si soffriva, ma soffrendo si aggiunge qualcosa alla collettività e ti fa diventare ancora più grandi.
Ho vinto 5 Champions League e ne ho alzate 2. Alla partita perfetta si avvicina molto la finale contro il Barcellona, avevamo contro Romario e StoichKov e ci mancavano Baresi e Costacurta. Romario mi faceva venire il mal di testa quando lo incontravo, un grandissimo giocatore, velocità di esecuzione incredibile. In quella finale ci davano sfavoriti, arrivavamo da una sconfitta 2-0 contro la Fiorentina. Dopo quella partita Capello entra in spogliatoio e ci dice di stare tranquilli, che vinceremo perchè siamo una squadra fortissima. Savicevic? Un talento grandissimo, ma timoroso. Arrivò in una squadra di pazzi, perchè in allenamento ci pestavamo a sangue. Gli allenamenti erano un campo di guerra, una battaglia intensissima.
La partita della svolta? Quella contro la Stella Rossa, senza quella vittoria grazie anche alla famosa nebbia non sarebbe mai partito il ciclo di Sacchi.
Io ho sempre pensato di essere una brava persona, per questo credo di essere diventato un modello per gli altri. Le frizioni con i tifosi? Intanto per me la mia vita privata è sacra, se esco in settimana e non rendo la domenica è un mio problema, sono io che ci sto male. Quelli del Liverpool erano imbarazzati dopo la vittoria, nemmeno ci credevano, sanno anche loro che è stato un miracolo. Loro non hanno mai mollato perchè i loro tifosi sotto 3-0 cantavano come se fossero in vantaggio loro, e non sotto, li hanno trascinati, questo è il succo dello sport. Dopo la sconfitta contro il Liverpool i tifosi mi chiesero di dire scusa, io non posso accettare che un ragazzino di 20 anni mi dica una cosa del genere, nemmeno mi ha visto esordire e parla così, mi son sentito toccato, ho avuto 10 secondi per pensare e ho reagito d'istinto. Non mi devi dire nulla una volta che in campo lascio anche l'anima.
Io non sono mai stato il proprietario del Miami calcio, c'era un inizio di idea ma non sono mai andato avanti. Li ho aiutati solamente a trovare come tecnico Sandro Nesta.
Avendo fatto tutta la vita con il Milan e la Nazionale nel calcio io posso legarmi solo a queste due squadre nel post carriera. Al Milan di Barbara avevo detto sì, al Milan di Fassone ho detto no. Alla nazionale ho detto sì due volte come team manager ma poi non se ne è più fatto nulla, non si son fatti sentire. Io non ho necessità di fare qualcosa.
Se Guardiola mi chiamasse al City cosa gli direi? Gli direi di venire un po' con me al Milan, ma prima devo essere io a dirigere. Non è così facile come per me parlare con chi vuoi e farsi ascoltare da tutti.
Berlusconi? Un visionario, un grandissimo presidente. All'inizio credevo fosse un matto, ma era talmente convincente che ci ha cambiato la mentalità. Azzardava spesso ma ci vedeva sempre lungo. Non ci sentiamo più adesso, l'ultima volta l'ho sentito quando è scomparso mio padre."
"Io sono milanese al 100%, mi identifico nei valori dei lombardi. Ho vinto due ambrogini d'oro. Trieste? L'ho conosciuta poco, non ci siamo quasi mai andati. La parte triestina come famiglia è sempre stata distante per me. Nereo Rocco non mi ha mai visto giocare, al maestro Rocco che non ho mai conosciuto direi grazie perchè ha formato mio padre, uno sportivo vero, un uomo sensibile. Nelle idee della mia famiglia non penso ci fosse l'idea di avere 6 figli, loro volevano il maschio ed è arrivato solamente al quarto tentativo con me.
Da piccolo avevo una predilezione per il Torino perchè ci aveva giocato mio padre, in casa c'era una foto mia ad un torneo quando ero piccolo con la maglia granata. Mio padre non mi vedeva calciatore, fu mia madre ad insistere. Mio padre pensava che il solo talento non aiutasse, serviva tanto lavoro e molti sacrifici. Nelle giovanili dai 10 ai 14 anni non ero certamente la stella, ho visto molti talenti sprecati. All'inizio mi proposero di fare il portiere, ci pensai, ma capii poco dopo che non faceva per me.
All'esordio il Barone mi chiese dove volessi giocare, gli risposi dove voleva lui. Non avevo le scarpe adatte per giocare con il ghiaccio, me le feci prestare e mi facevano male i piedi quando mi sedetti in panchina. Quando entrai in campo non sentii più nulla. Quel giorno lì pensai posso davvero giocare in Serie A, ho giocato bene mi son piaciuto, posso giocare davvero con i campioni. Nell'arco della mia carriera ho sempre cercato la partita perfetta, ma non sono mai riuscito a farla, soprattutto da terzino. Il giorno dopo l'esordio ho chiesto a mio padre di non andare al Liceo Volta perchè c'era tanta pressione attorno a me, mio padre me lo concesse. Mi fecero un'intervista alla Gazzetta dove fecero supporre una mia omosessualità e non la presi molto bene, dovetti giustificarmi un po' con tutti, anche con i miei compagni.
Devo tanto a Franco Baresi e Mauro Tassotti, ma anche ad Agostino di Bartolomei. Mi aiutarono tantissimo. Oltre a loro anche il Barone, ti rendeva tranquillo e ti faceva giocare divertendoti. Io ero un ragazzo molto ansioso ed insicuro, soprattutto agli inizi, poi con il tempo sono migliorato.
Io ho sempre voluto separare il Maldini uomo dal Maldini calciatore, 90' a settimana sono il giocatore del Milan, ma il resto del tempo io sono Paolo Maldini. Questa è una scelta, lo sportivo deve accettare sia la vittoria che la sconfitta, l'importante è dare tutto. Le responsabilità dei miei errori sono mie, non ho mai cercato scuse. Fa parte del gioco, e ti rende umano. Io penso di aver preso anche meno cartellini di quelli che meritassi.
Sono nato a Milano, mio padre giocava nel Milan, per me il Milan era il massimo. Io ero ambizioso, il Milan era ambizioso, ci siamo trovati ed è andata alla grande. Club stranieri? Arrivavano nei momenti bassi del Milan, Chelsea, United, ma io ho sempre detto no. Non si va mai via quando le cose vanno male.
Io son sempre stato di piede destro, col sinistro me la cavavo. Il posto libero in prima squadra era terzino sinistro e non potevo farvi sfuggire l'occasione, ho colto l'opportunità e mi sono migliorato col tempo. Ho sempre avuto il controllo totale del mio corpo, nei contrasti mantenevo il mio corpo in un certo modo per tenermi in equilibrio, è una cosa naturale. L'avversario più difficile? Shevchenko in allenamento, con le sue caratteristiche era difficilissimo per me affrontarlo, grazie a lui sono migliorato molto come centrale.
A Coverciano ti insegnano se sei terzino sinistro a girarti in un certo modo su un cambio campo, se non sei Paolo Maldini. Sono entrato nel lessico di Coverciano. Questo per dire che non sono tutti uguali.
Tassotti è stato mio compagno di camera per 10 anni, è un mio grande amico e una persona stupenda. Quando non avevo la patente mi accompagnava lui su una Volvo Station bianca.
Quando arriva Sacchi cambia tutto, cambiano gli obiettivi, cambiano i compagni. Io comunque penso che la fortuna del Grande Milan sia stata la difesa italiana a 4 lanciata da Liedholm, il grande motore della squadra. Poi c'è stata la grande campagna acquisti, Massaro, Donadoni, gli olandesi. Van Basten la prima partita fece una grande prestazione, giocatore di classe unica. Ha dovuto smettere a 28 anni, veramente un peccato, purtroppo i problemi fisici li hanno condizionati tutti. La prima stagione di Gullit? Come Lebron James oggi. Una cosa spaventosa, spingeva tutti a dare il meglio di sè. Sacchi ha dato il via al grande Milan, fisicità, esperienza e idee di gioco. Il sistema collettivo di Sacchi doveva respirare tutto allo stesso modo, inizialmente si soffriva, ma soffrendo si aggiunge qualcosa alla collettività e ti fa diventare ancora più grandi.
Ho vinto 5 Champions League e ne ho alzate 2. Alla partita perfetta si avvicina molto la finale contro il Barcellona, avevamo contro Romario e StoichKov e ci mancavano Baresi e Costacurta. Romario mi faceva venire il mal di testa quando lo incontravo, un grandissimo giocatore, velocità di esecuzione incredibile. In quella finale ci davano sfavoriti, arrivavamo da una sconfitta 2-0 contro la Fiorentina. Dopo quella partita Capello entra in spogliatoio e ci dice di stare tranquilli, che vinceremo perchè siamo una squadra fortissima. Savicevic? Un talento grandissimo, ma timoroso. Arrivò in una squadra di pazzi, perchè in allenamento ci pestavamo a sangue. Gli allenamenti erano un campo di guerra, una battaglia intensissima.
La partita della svolta? Quella contro la Stella Rossa, senza quella vittoria grazie anche alla famosa nebbia non sarebbe mai partito il ciclo di Sacchi.
Io ho sempre pensato di essere una brava persona, per questo credo di essere diventato un modello per gli altri. Le frizioni con i tifosi? Intanto per me la mia vita privata è sacra, se esco in settimana e non rendo la domenica è un mio problema, sono io che ci sto male. Quelli del Liverpool erano imbarazzati dopo la vittoria, nemmeno ci credevano, sanno anche loro che è stato un miracolo. Loro non hanno mai mollato perchè i loro tifosi sotto 3-0 cantavano come se fossero in vantaggio loro, e non sotto, li hanno trascinati, questo è il succo dello sport. Dopo la sconfitta contro il Liverpool i tifosi mi chiesero di dire scusa, io non posso accettare che un ragazzino di 20 anni mi dica una cosa del genere, nemmeno mi ha visto esordire e parla così, mi son sentito toccato, ho avuto 10 secondi per pensare e ho reagito d'istinto. Non mi devi dire nulla una volta che in campo lascio anche l'anima.
Io non sono mai stato il proprietario del Miami calcio, c'era un inizio di idea ma non sono mai andato avanti. Li ho aiutati solamente a trovare come tecnico Sandro Nesta.
Avendo fatto tutta la vita con il Milan e la Nazionale nel calcio io posso legarmi solo a queste due squadre nel post carriera. Al Milan di Barbara avevo detto sì, al Milan di Fassone ho detto no. Alla nazionale ho detto sì due volte come team manager ma poi non se ne è più fatto nulla, non si son fatti sentire. Io non ho necessità di fare qualcosa.
Se Guardiola mi chiamasse al City cosa gli direi? Gli direi di venire un po' con me al Milan, ma prima devo essere io a dirigere. Non è così facile come per me parlare con chi vuoi e farsi ascoltare da tutti.
Berlusconi? Un visionario, un grandissimo presidente. All'inizio credevo fosse un matto, ma era talmente convincente che ci ha cambiato la mentalità. Azzardava spesso ma ci vedeva sempre lungo. Non ci sentiamo più adesso, l'ultima volta l'ho sentito quando è scomparso mio padre."