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Paolo Condò dal CorSera in edicola:"Quando gli allenatori ci spiegano che i numeri dei moduli contano relativamente perché è l’atteggiamento a fare la differenza, intendono esattamente quanto di strepitoso ha fatto vedere il Milan nella grande rimonta di Riad.
Il primo trofeo stagionale ha la sua importanza «fisica», l’alzata della Supercoppa è una foto che rinfresca le antiche glorie, ma sono gli orizzonti che riapre in un momento di forte depressione a contare davvero. La capacità di ripartire dal punto in cui era arrivato con la Juve; il pressing alto (accettandone i rischi) per togliere ossigeno all’avvio della manovra interista; la forza mentale per aumentare i colpi anziché mollare dopo aver subito il 2-0.
Sergio Conceicao ha riattivato tutto questo in pochi giorni, riscuotendo la fondamentale adesione dei due talenti superiori che ha in rosa: buttato dentro all’intervallo, Leao ha subito accelerato oltre le possibilità di venire fermato in modo regolare. Punizione, e l’altro gran cruccio di Fonseca, Theo Hernandez, ha scaricato in porta il 2-1 esorcizzando qualsiasi tentazione di darsi per vinti. Il pareggio di Pulisic è giunto in capo a venti minuti divertentissimi, con palle-gol a ogni rovesciamento di fronte e vistoso sacrificio della tattica a favore di un’interpretazione ardente.
A un certo punto si sentiva Inzaghi urlare «hanno quattro attaccanti», a significare che ragionando con freddezza l’Inter avrebbe potuto trovare autostrade nello schieramento stravolto di Conceicao. Ma questa era una finale, e giunto a quel punto l’underdog rossonero era disposto a tutto pur di portarla a casa. È esploso ancora Leao ad apparecchiare il 3-2 di Abraham, e il colpo ha fatto molto male all’Inter, che sul 2-0 si era sentita al sicuro e grande sul serio, perché stava vincendo la finale in modo opposto alla semifinale: grande squadra piccolo Lautaro con l’Atalanta, piccola squadra grande Lautaro ieri. Ora, sacchi di sabbia alle finestre: sconfitte del genere vanno gestite perché ti scuotono nel profondo"
Il primo trofeo stagionale ha la sua importanza «fisica», l’alzata della Supercoppa è una foto che rinfresca le antiche glorie, ma sono gli orizzonti che riapre in un momento di forte depressione a contare davvero. La capacità di ripartire dal punto in cui era arrivato con la Juve; il pressing alto (accettandone i rischi) per togliere ossigeno all’avvio della manovra interista; la forza mentale per aumentare i colpi anziché mollare dopo aver subito il 2-0.
Sergio Conceicao ha riattivato tutto questo in pochi giorni, riscuotendo la fondamentale adesione dei due talenti superiori che ha in rosa: buttato dentro all’intervallo, Leao ha subito accelerato oltre le possibilità di venire fermato in modo regolare. Punizione, e l’altro gran cruccio di Fonseca, Theo Hernandez, ha scaricato in porta il 2-1 esorcizzando qualsiasi tentazione di darsi per vinti. Il pareggio di Pulisic è giunto in capo a venti minuti divertentissimi, con palle-gol a ogni rovesciamento di fronte e vistoso sacrificio della tattica a favore di un’interpretazione ardente.
A un certo punto si sentiva Inzaghi urlare «hanno quattro attaccanti», a significare che ragionando con freddezza l’Inter avrebbe potuto trovare autostrade nello schieramento stravolto di Conceicao. Ma questa era una finale, e giunto a quel punto l’underdog rossonero era disposto a tutto pur di portarla a casa. È esploso ancora Leao ad apparecchiare il 3-2 di Abraham, e il colpo ha fatto molto male all’Inter, che sul 2-0 si era sentita al sicuro e grande sul serio, perché stava vincendo la finale in modo opposto alla semifinale: grande squadra piccolo Lautaro con l’Atalanta, piccola squadra grande Lautaro ieri. Ora, sacchi di sabbia alle finestre: sconfitte del genere vanno gestite perché ti scuotono nel profondo"